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Campagna di consumo responsabile

Non solo "cibo degli dei", anche "lavoro degli uomini"

Il giro di affari che il cioccolato muove è enorme: in Italia ne consumiamo oltre 4 Kg a testa e ne produciamo per 2,6 miliardi di euro; ogni europeo spende per cioccolato e altri prodotti a base di cacao 52 euro l'anno.
Di cacao vivono o muoiono alcuni Paesi, soprattutto africani: Costa D'Avorio, Nigeria, Ghana, Camerun e altri Paesi dell'area tropicale; qui è concentrato il 72 per cento della produzione di fave di cacao; il 13 per cento viene dall'America e il 15 per cento dall'Asia (soprattutto Indonesia). Le vere protagoniste sono però le più grandi società commerciali internazionali (traders) di questo settore. In questo modo, quella che potenzialmente è la maggior fonte di sostentamento e ricchezza per questi paesi diventa la causa principale del loro sfruttamento e del loro impoverimento.
I piccoli produttori, a causa degli alti costi di lavorazione e raccolta, sono incapaci di arrivare al mercato e a determinare il prezzo e sono costretti ad accettare le condizioni di intermediari che fissano arbitrariamente i prezzi, generalmente inferiori a quello stabilito dal mercato di esportazione: non viene così ripagato il reale costo di produzione né un premio per la qualità del prodotto.
Il prezzo delle fave di cacao viene trattato a livello internazionale nelle borse di Londra e New York, dove i traders acquistano le materie prime. Le quattro maggiori compagnie commerciali (l'inglese Ed&F Man Cocoa, le francesi Gepro e Tuoton e l'americana Fimat) arrivano spesso a possedere oltre il 10 per cento del mercato mondiale; immettendo sul mercato grandi quantità di prodotto prima dell'acquisto, riescono a comprare a prezzi bassi, lasciandoli poi risalire fino alla chiusura dei contratti di vendita con le multinazionali che ne effettuano la lavorazione.
Generalmente, si calcola che nella compravendita del cacao i traders ricevono il 70 per cento del prezzo finale, mentre ai produttori va solo il 5 per cento.
Il 40 per cento delle fave di cacao di tutto il mondo sono coltivate in Costa d'Avorio. Quando, nel settembre del 2002, nel Pese è scoppiato il conflitto tra i governo centrale e le milizie armate nel Nord e nell'Ovest, sui mercati internazionali del cacao i prezzi sono immediatamente si sono "infiammati" alzandosi fino al 45 per cento. Degli aumenti, che sono durati comunque per otto mesi, i 5 milioni di contadini della Costa d'Avorio non hanno visto neppure l'ombra, a fare gli affari sono stati i grandi traders e le multinazionali del cacao: comunque una tonnellata di fave di cacao veniva pagata meno della metà di quanto era pagata agli inizi degli anni '70. L'anno successivo, il raccolto è andato molto bene (+10 per cento), ma i prezzi alla produzione sono scesi di un ulteriore 25 per cento, ovvero i contadini coltivano e producono di più, ma guadagnano sempre meno, comunque meno della metà di quanto venivano pagati 35 anni fa.
Un'altra causa dell'impoverimento dei paesi produttori è dovuta alla difficoltà per gli agricoltori di accedere al credito e quindi all'impossibilità di trasformare le materie prime.
Il rapporto tra Unione Europea e Paesi dell'Africa, dei Carabi e del Pacifico (ACP), nato come rapporto di aiuto e scambio reciproco privo di dazi doganali e restrizioni quantitative, è diventato, in seguito al processo di liberalizzazione e agli accordi GATT (General Agreement on Tariff and Trade) sempre più sfavorevole per i Paesi in Via di Sviluppo.
La povertà in questi Paesi è a livelli drammatici: periodicamente viene denunciato il lavoro minorile e schiavo nelle piantagioni cacao e il traffico di bambini comprati nei paesi ancora più poveri, Togo e Benin, e venduti a quelli come la Costa d'Avorio dove serve manodopera. La produzione di cacao in questo Paese rimane legata a fenomeni di violazione dei diritti umani, come il traffico e lo sfruttamento dei minori. Secondo l'Istituto Internazionale di Agricoltura Tropicale (IITA), i bambini e gli adolescenti che lavorano nei campi di cacao in Costa d'Avorio sono 615mila: il 64% avrebbe meno di 14 anni, 12mila non avrebbero legami familiari con i proprietari. Solo 5mila sarebbero pagati regolarmente, ma il 29% di questi ha dichiarato di non essere libero di lasciare i campi (i dati si riferiscono all'estate 2002). I bambini vanno a lavorare nei campi perché la famiglia ha un debito che non riesce a pagare, o perché è morto uno dei genitori, oppure perché i figli sono stati abbandonati e si trovano in una famiglia allargata che non ce la fa a sfamare tutti; dall'altro lato la richiesta di manodopera a basso costo è sempre alta. Nelle zone rurali della Costa d'Avorio quattro su cinque sono i bambini che lavorano nei campi, non frequentando la scuola e svolgendo attività spesso pericolose e nocive per la loro salute, come usare attrezzi taglienti, applicare i pesticidi, trasportare i sacchi con le cabosse. Lavorano nei campi dalle sei di mattina alle nove di sera, mangiano un pugno di mais e una banana e vivono in condizioni sanitarie disperate, ammassati in stanze senza letti, senza bagno, chiusi a chiave durante la notte. Le ragazzine, invece, vengono rivendute e finiscono a fare i lavori domestici in casa, o vengono utilizzate per il mercato del sesso.
Per molto tempo le industrie produttrici di cioccolato hanno negato il problema. Solo a seguito delle insistenti pressioni della stampa e delle organizzazioni umanitarie hanno siglato un accordo, detto Protocollo Harkin-Engel, che dovrebbe eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile in Africa occidentale entro il 2005, dapprima attraverso un monitoraggio del problema, poi attraverso una certificazione riconosciuta a livello internazionale, che dovrebbe attestare che il cacao non è stato prodotto anche grazie a minori sfruttati. Le multinazionali hanno però tralasciato la causa principale di tali fenomeni, individuabile nei prezzi bassi che vengono pagati ai produttori; pagando un prezzo più alto - o forse semplicemente più "equo"- ai produttori, si eliminerebbe quasi automaticamente parte dello sfruttamento del lavoro minorile.
I consumatori giocano un ruolo importante, in quanto possono, con svariati mezzi, indurre industrie verso approcci produttivi più responsabili.


30, 31 ottobre e 1 novembre 2005
Macerata Piazza Mazzini
"CIOCCOLALTRO"

 
 
 
 

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