Comune di Macerata


Sei in:  Home , SpazioAperto , Rete di Lilliput Nodo di Macerata

ARTURO PAOLI

"SALVATE LA TERRA PERCHÉ LA TERRA MUORE!"

MACERATA 17 novembre 2005
SALA RIUNIONI OSTELLO ASILO RICCI ORE 17,30
 
 
Fratel Arturo Paoli terrà inoltre un incontro a RECANATI il 16 NOVEMBRE alle ORE 21,00 presso il SALONE DEL POPOLO sul tema: "RESISTERE CREATIVAMENTE" e a MACERATA il 18 NOVEMBRE alle ORE 21,00 presso l'ex Seminario Vescovile (Via cincinelli) sul Tema: "GLOBALIZZAZIONE E SPERANZA"


CHI È ARTURO PAOLI?
Arturo Paoli nasce a Lucca in via Santa Lucia il 30 novembre 1912, si laurea in lettere a Pisa nel 1936, entra in seminario l'anno successivo e viene ordinato sacerdote nel giugno 1940.
Partecipa tra il 1943 e il 1944 alla Resistenza e svolge la sua missione sacerdotale a Lucca fino al 1949, quando viene chiamato a Roma come vice-asistente della Gioventù di Azione Cattolica, su richiesta di Mons. Montini, poi papa Paolo VI. Qui si scontra con i metodi e l'ideologia di Luigi Gedda, presidente generale dell'Azione Cattolica e all'inizio del 1954 riceve l'ordine di lasciare Roma per imbarcarsi come cappellano sulla nave argentina "Corrientes", destinata al trasporto degli emigranti.

Arturo compie solo due viaggi. Sulla nave incontra un Piccolo fratello della Fraternità di Lima, Jean Saphores, che Arturo assisterà in punto di morte. A seguito di questo incontro decide di entrare nella congregazione religiosa ispirata a Charles de Foucauld e vive il periodo di noviziato a El Abiodh, al limite del deserto, in Algeria. Poi passa ad Orano dove, negli anni della lotta di liberazione algerina, svolge mansioni di magazziniere in un deposito del porto. Nel 1957 viene incaricato di fondare una nuova Fraternità a Bindua, zona mineraria della Sardegna, dove lavora manualmente: ma il suo rientro in Italia non viene ben visto dalle autorità vaticane.

Decide allora di trasferirsi stabilmente in America Latina e si trasferisce in Argentina a Fortin Olmos, tra i boscaioli - hacheros - che lavorano per una compagnia inglese del legname. Sarà questo uno dei periodi più duri dell'esperienza latino-americana. Quando la compagnia decide di abbandonare la zona ormai impoverita del prezioso legno quebracho, Arturo organizza una cooperativa per permettere ai boscaioli di continuare a vivere sul posto. Nel 1969 viene scelto come superiore regionale della comunità latinoamericana dei Piccoli Fratelli, trasferendosi vicino a Buenos Aires. Qui vivono i novizi della fraternità e si comincia a delineare una teologia comprometida, preludio dell'adesione alla teologia della Liberazione. In questo periodo pubblica il suo secondo libro Dialogo della liberazione. Nel 1971 nasce un nuovo noviziato a Suriyaco, nella diocesi di La Rioja, una zona semidesertica, poverissima, dove Arturo si trasferisce e incontra un vescovo a cui sarà legato da una forte amicizia, Enrique Angelelli, la voce più profetica della Chiesa argentina nei trementi anni della dittatura militare: un prelato che doveva morire tragicamente nel 1976 in uno strano incidente stradale che oggi nessuno dubita di qualificare come assassinio e su cui nessuno svolgerà inchieste, malgrado l'espressa richiesta di Paolo VI.

Con il ritorno di Peron in Argentina il clima politico si fa pesante e Arturo viene accusato di esercitare un traffico d'armi con il Cile. In quel momento in Cile governava Allende, destituito nell'apocalittica giornata dell'11 settembre 1973 dal colpo di stato di Pinochet. Nel 1974 appare sui muri di Santiago un manifesto con una lista di persone da eliminare da parte di "chiunque le incontri": il nome di Arturo è al secondo posto. Alcuni Piccoli fratelli vengono incarcerati e cinque di loro figureranno tra le migliaia di desaparecidos. Arturo in questo momento si trova in Venezuela, come responsabile dell'area latinoamericana dell'Ordine: avvertito da amici di non rientrare in Argentina perché ricercato vi tornerà solo nel 1985.

Inizia così l'esperienza venezuelana, prima a Monte Carmelo, poi alla periferia di Caracas, continuando, anzi intensificando, la sua produzione libraria: Il presente non basta a nessuno, Il grido della terra e tanti, tanti altri...
Con l'allentarsi della dittatura militare, Arturo intensifica le sue missioni in Brasile, risiedendo dal 1983 a Sao Leopoldo ed entrando in contatto con la realtà delle prostitute, numerose nel suo quartiere.
Nel 1987 si trasferisce su richiesta del vescovo locale a Foz do Iguaçu: qui va a vivere nel barrio di Boa Esperança dove costituisce una comunità. Ma, ricorda fratel Arturo "la condizione di estrema povertà della gente del quartiere mi tormentava e da questa angoscia nacque l'idea di creare l'Associazione Fraternità e Alleanza", un ente filantropico, senza fini di lucro, con progetti sociali rivolti al bene della comunità.
Sono seguiti 13 anni di duro intenso lavoro per dare dignità a questa popolazione emarginata. Oggi l'AFA è una bella realtà, a cui si è aggiunta nel 2000 la Fondazione Charles de Foucauld rivolta in maniera specifica ai giovani del proletariato e del sottoproletariato di Boa Esperança. Insieme i due enti portano avanti numerosi mini-progetti che coinvolgono direttamente oltre 2000 persone fra adulti, adolescenti e bambini: ludoteca, ambulatorio, doposcuola (raggruppati nel progetto denominato "bambini denutriti"), casa della donna, mensa, corale, corsi di musica, di informatica, attività sportive... Progetti mirati alla formazione umana e resi possibili dall'aiuto di tanti, tanti amici italiani che li finanziano nella loro quasi totalità.
"La Chiesa, per merito di fratello Arturo e della sua Comunità, vuole collaborare a una vita umana più degna. L'A.F.A. è un grande progetto sociale e spero che ottenga l'appoggio che merita dalla Chiesa e dalla società": così ha dichiarato il Nunzio Apostolico, mons. Alfio Rapisarda in visita a Boa Esperança. Anche per il nuovo vescovo di Foz, mons. Laurindo Guizzardi opere sociali come l'A.F.A. debbono essere sostenute ed incoraggiate: "Dobbiamo pregare Dio per la continuità di un'opera come questa".

Lontano ma presente, l'impegno religioso e sociale nel sud del mondo non impedisce a fratel Arturo di vivere appassionatamente gli avvenimenti italiani e lucchesi. Nell'agosto 1995 interviene su "La Repubblica" dopo aver letto la corrispondenza fra Eugenio Scalfari, allora direttore del giornale, e lo scrittore Pietro Citati. A Scalari scrive una lettera che viene pubblicata con il titolo "Fede ed Utopia del Regno di Dio":
"mi ha colpito il suo mettere in evidenza il mercato come elevato a divinità, perché da anni denunzio l'idolatria del mercato. Ciò mi è stato spesso rinfacciato come prova di ignoranza delle dottrine economiche. Sono cosciente della mia ignoranza, ma guardando l'idolatria del mercato nella prospettiva del Regno non vedo altro che milioni di persone stritolate sotto le ruote del mercato. Questa visione per me è quotidiana quando, all'alba, apro la porta della mia casa e trovo subito nei vicoli della favela le persone che gemono sotto le ruote del mercato, e sono la mia famiglia..."

A Lucca nel 1995 il sindaco Giulio Lazzaroni gli consegna il Diploma di partigiano. In quell'occasione fratel Arturo pronuncia queste parole:
"... la Resistenza non si è chiusa nell'ambito del 1945 e se noi non soffriamo fortemente di appartenere ad una famiglia che fabbrica le armi, che manda le mine che straziano i corpi dei bambini, se noi non pensiamo che il nostro benessere lo pagano milioni di affamati, se noi non pensiamo che mandiamo bastimenti carichi di armi nell'Africa, nella vicina Jugoslavia, ecc... e se noi non soffriamo nella nostra carne per questo scandalo vuol dire che la Resistenza è stata un'azione valorosa, generosa o forse anche una manifestazione di coraggio, ma non è stato qualcosa che ha aderito profondamente alla nostra anima, che è diventata legge della nostra vita... e perché questa celebrazione non sia retorica... forse oggi più di ieri c'è bisogno di resistere".

Questo atteggiamento lo spinge a rifiutare la medaglia d'oro che annualmente la Camera di Commercio assegna ai lucchesi che hanno onorato la città nel mondo. La lettera pubblicata suscitò non poche polemiche:
"Conosco personalmente alcuni di voi per non dubitare della vostra nobilissima intenzione, ma pemettetemi di rifiutare un premio come missionario cattolico. A parte il fatto di sapere che il solo suggello che posso mettere sui quarant'anni di vita in America Latina è quello suggeritomi dal Vangelo "sono un servo inutile", mi tormenta un'altra considerazione. Appartengo per nascita e formazione all'occidente che globalmente si dice cristiano, dalle Montagne Rocciose agli Urali, ed è incontestabile che questo mondo cristiano che si definisce Primo Mondo è al centro delle ingiustizie che sono la causa della fame di milioni di esseri che il catechismo ci ha insegnato a chiamare fratello: io torno in Brasile e non posso tornarvi ostentando sul petto una medaglia che premia la mia attività di 'missionario', rappresentante di una civiltà cristiana che spoglia della terra esseri umani che vi vivono da secoli prima di Cristo. E questa spoliazione dura dal 1492".
Il 29 novembre 1999 a Brasilia, l'ambasciatore d'Israele gli consegna il più alto riconoscimento attribuito a cittadini non ebrei: 'Giusto tra le nazioni', per aver salvato nel 1944 a Lucca la vita di Zvi Yacov Gerstel, allora giovane ebreo tedesco, oggi tra i più noti studiosi del Talmud, e sua moglie. Il nome di fratel Arturo, "salvatore non solo della vita di una persona, ma anche della dignità dell'umanità intera", sarà inciso nel Muro d'Onore dei Giusti a Yad Vashem.

Il 9 febbraio 2000 a Firenze la Regione Toscana, su iniziativa del suo Presidente Vannino Chiti, alla presenza del Cardinale di Firenze Silvano Piovanelli e del rabbino di Firenze Yoseph Levi, festeggia il sessantesimo anniversario di fratel Arturo. In questa circostanza fratel Arturo dirà:
"Tutta la nostra cultura è una cultura di morte, l'occidente cristiano è il centro che ha organizzato la guerra, la carestia, l'accumulazione delle ricchezze nelle mani di pochi".
Il cardinale Piovanelli, dopo aver ricordato che don Paoli è stato un punto di riferimento importante nella sua formazione religiosa, sottolineerà:
"Siamo sempre rimasti colpiti dalle sue parole, dai suoi libri, ma soprattutto abbiamo ammirato il coraggio di una vita compromessa per stare dalla parte dei più deboli".
(Biografia contenuta nel libro "Salutatemi Maria Rosa", a cura di Luciano Fava, edito da Maria Pacini Fazzi di Lucca)

"A osservarla mentre se ne sta in silenzio, quella persona sembra un vecchietto lindo e sorridente, un po' curvo (ma certo non tanto se si pensa che è nato nel 1912), con una bella chioma bianca: immagine rassicurante, di buon nonno, persino somigliante a quella di certi spot pubblicitari; ma quando il vecchio Arturo Paoli viene invitato a parlare, allora sembra rivestire il mantello del profeta Eliseo e la sua voce grida un vangelo inquietante.
La voce di Arturo Paoli, come ben sanno i suoi ascoltatori, è innanzi tutto un miracolo fisiologico: viene da polmoni giovanissimi che le consentono di dispiegarsi in chiese e in aule di convegni tanto da far vibrare le fibre dei tavoli e i vetri delle finestre. Mi ha detto una volta uno pneumologo: "Quest'uomo respira Spirito Santo". Le parole che questa voce ci rivolge non sono mai aspre né minacciose, improntate, invece, a tenerezza per noi, ma severe nei confronti delle nostre coscienze e dei costumi e istituzioni dietro le quali cerchiamo di nasconderci... Dietro questa convinzione e testimonianza di Paoli c'è ovviamente la sua esperienza storica. ...La strada sui cui Arturo cammina da 93 anni è fiancheggiata dai ruderi di molte ideologie, speranze, illusioni, civiltà, filosofie, piccoli Mozart (per dirla con Saint-Exupèry) assassinati dalla miseria. Sulla stessa strada ha camminato la Chiesa, la "sua" Chiesa: quella che egli enormemente ama ma della quale conosce il dramma di essere semper casta et meretrix, come la definivano gli antichi Padri: congregata intorno al Crocifisso risorto e però popolata da uomini quasi sempre, quasi tutti, infedeli per viltà e per egoismo.
Molte di queste infedeltà hanno segnato anche le spalle di Arturo...Per questo il vecchio indomito torna e ritorna fra noi, lasciando le sue nuove patrie. Viene come un messaggero. Ci porta il vangelo non più glossato dai seriosi teologi nelle celle dei conventi o nelle aule delle università ma restituito alla sua rischiosa purezza dall'esperienza dei poveri, dalla loro concretezza, dal loro ammaestramento così eloquente anche quando è silenzioso. Ricordo un aneddoto raccontato una volta da Arturo. Era da alcuni giorni in un poverissimo villaggio dell'America Latina quando gli arrivò un pacco di posta. Vi trovò, fra l'altro, una notificazione della Congregazione vaticana per il culto divino nella quale si disponeva che per la consacrazione eucaristica si usassero soltanto calici rivestiti internamente d'oro o d'argento. Rise Arturo: "Avevamo appena celebrato la messa, come ci sembrava doveroso, nella capanna di una poverissima vedova; e naturalmente come calice avevamo usato un bicchiere scheggiato. Quella notificazione ci divertì grandemente. Fu motivo di ricreazione, di elevazione...".
Tornando e ritornando dalla Chiesa dei poveri, ogni volta mi sembra che ci scruti, temendo che il sistema in cui siamo più o meno tranquillamente insediati ci rubi il cuore. Da qualche anno ha incontrato il pensiero del grande filosofo Levinas (anche lui povero: profugo, straniero), gli ha dedicato uno dei suoi numerosi libri e ne rilegge continuamente gli insegnamenti. Dire, come Levinas, che dobbiamo darci in ostaggio al volto dell'altro, del fratello che soffre, gli sembra una versione dell'evangelo, riletta finalmente da un filosofo disposto a chinarsi sui dolori e le speranze dei poveri, né lo arresta il fatto che Levinas non fosse (o non si dicesse) cristiano. Ma io credo che Arturo piuttosto che leggere libri preferisca intendere le voci della Terra: il fragore delle cascate di Iguaçu, presso cui abita, che sembra l'immenso grido dell'America Latina ferita dall'ingiustizia e lo strillo gioioso del bambino che egli accarezza nella "sua" favela; le canzoni dei giovani che vogliono la pace e il sussurro di chi gli affida i suoi problemi: è un salmo che lo accompagna e che lui, all'alba, canta mentre il sole ancora un volta sorride alle sue 93 primavere..."
Ettore Masina (Dalla prefazione al libro "Qui la meta è partire" di A. Paoli e F. Comina - Edizioni La Meridiana)

 
 

 
 
 

Comune di Macerata piazza Libertà, 3 - 62100 Macerata
tel. 0733-2561 fax 0733-256200
e-mail: municipio@comune.macerata.it
e-mail istituzionale (solo per i titolari di PEC): comune.macerata@legalmail.it
P.I. 00093120434 - C.F. 80001650433