Comune di Macerata


TLR Altri Percorsi 2006/07

logo stagione teatrale 2006-07

Fuochi a mare - Giovedì 16 novembre 2006

Teatri Uniti
scritto interpretato e diretto da Andrea Renzi per Vladimir Majakovskij
suoni di Daghi Rondanini
luci di Pasquale Mari

Fuochi a mare per Vladimir Majakovskij è un tributo a un poeta e alla poesia come Luogo della Vita, come fosse un tributo all'Etna, alle Alpi, al delta del Nilo, a una cimice, a un cucciolo di cane.
Qualcuno ha scritto che l'arte deve essere contro la bomba atomica, cioè contro la disgregazione della coscienza.
Condivido questa posizione e la vita e la poesia di Vladimir Majakovskij sono contro la bomba atomica.
Vladimir Majakovskij è per antonomasia il poeta della Rivoluzione. È bene ricordare che nel 1917 egli aveva 24 anni, poco più che ragazzo aveva già scritto La nuvola in calzoni e Il flauto di vertebre, per citare solo le opere più importanti.
Qualcuno ha detto che è la rivoluzione ad aver incontrato Vladimir Majakovskij e non il contrario. La sua vita e la sua poesia incarnano il mito della rivoluzione nella sua accezione più ampia che comprende bisogni antichi e primari: la Giustizia, l'Uguaglianza, la Libertà. E, nel suo caso specifico, la Speranza di una felicità terrena per tutti: "... che senso ha se io solo mi salvo ...", scriveva nel 1922.
Un altro mito attraversa la sua opera, quello della Giovinezza, che si carica sulle spalle questi ideali come un trionfo e li porta a spasso, baldanzosa, per l'universo, senza timore di confrontarsi con iperboli e paradossi. Una giovinezza piena, leggera e tragica.
Andrea Renzi 
 
 
studio su medea

Studio su Medea - dal 14 al 16 febbraio 2007

Teatro Stabile dell'Umbria
Totales Theater International
Festival delle Colline Torinesi
Studio su Medea
14.02.07 Capitolo I Medea & Giasone
15.02.07 Capitolo II Medea & figli
16.02.07 Capitolo I, II, III Medea & Giasone / Medea & figli / Medea dea
elaborazione drammaturgia di Federico Bellini
con Nicole Kehrberger, Michele Andrei
regia di Antonio Latella

Tre tele sporche, caotiche, colori gettati di getto senza una grammatica, una logica, la rottura di una forma, anzi il tentativo utopico della non formalizzazione. Da questo caos è la memoria dei corpi, della carne che prende il sopravvento.
La tela uno o capitolo uno, Medea & Giasone, è l'incontro scontro tra questi due corpi e le loro storie, sintesi della vicenda di Medea, del mito Medea, così come ci è stato tramandato. Danza di corpi che si cercano e si annullano nell'altro, in quella memoria che non ci appartiene. Le altre due tele o capitoli vanno a completare il racconto del primo: il corpo della donna amata-amante che si fa corpo madre-corpo matricida; e poi nell'ultimo capitolo il corpo che elimina annulla il sangue, la carne per andare verso l'ascesi e quindi divenire Dea_Me_Dea. Poche parole, nessuna parola: alfabeto che cerca il recupero di una lingua nell'impossibilità della comprensione, anche il detto diventa suono, memoria arcaica, musica.
Antonio Latella

Studio su Medea: già nel nome che Antonio Latella ha voluto per questa messinscena è contenuta l'esperienza concreta del suo lavoro con il Mito di Medea. Lo Studio è iniziato nell'inverno 2004, a Berlino, dapprima solo su un piano speculativo, poi, insieme a Nicole Kehrberger - che aveva collaborato con Latella in Querelle e nell'Orfeo di Monteverdi - la ricerca ha cominciato a prendere corpo.
E di pura ricerca si è trattato: negli ultimi due anni, Latella si è dedicato anche alla preparazione e alla messinscena di altre opere, alle quali pensava da tempo (per la Prosa: Edoardo II, da Christopher Marlowe, nel 2004 e La cena de le ceneri, da Giordano Bruno, nel 2005. Per la Lirica: Orfeo di Monteverdi e Orfeo e Euridice di Gluck, entrambi nel 2004. Tosca di Puccini, nel 2005.), mentre, in autonomia, continuava il suo studio su Medea, senza ancora porsi obiettivi e scadenze.
La forza del gruppo di interpreti e di collaboratori, che Latella negli anni, grazie al suo metodo di lavoro, ha saputo consolidare, ha contribuito non poco all'impresa. In particolare, tutti gli attori e poi: Federico Bellini, curatore, come sempre, della struttura drammaturgica, questa volta in progress; Franco Visioli, che ha ideato e costruito la rete di musiche e suoni, essenziale alla visività plastica dello Studio; Giorgio Cervesi Ripa che ha disegnato le luci. Rosario Tedesco, da sempre uno degli interpreti più assidui degli spettacoli di Latella, questa volta, è stato regista assistente ed ha curato anche i movimenti coreografici dello Studio.
Il Teatro Stabile dell'Umbria insieme con il Festival delle Colline Torinesi e con Totales Theater International (la Compagnia di Nicole Kehrberger), si sono uniti per rendere possibile la presentazione di questo spettacolo, inusuale per storia e per forma, alla critica e al pubblico italiani.

STUDIO SU MEDEA, una rappresentazione in tre capitoli: Capitolo I MEDEA & GIASONE, 65'; Capitolo II MEDEA & FIGLI, 50'; Capitolo III MEDEA DEA, 40'.
La messinscena mostra i passaggi della ricerca anche nell'articolazione del racconto in tre capitoli e muove dalla fatica dei corpi fino allo scaturire della parola, che Medea mette al mondo.
Le funzioni in scena sono quelle archetipiche del Mito: MEDEA E GIASONE (Nicole Kehrberger e Michele Andrei). MEDEA E I FIGLI (Giuseppe Lanino, Emilio Vacca). MEDEA DEA.
 
 
cani di bancata

Cani di bancata - Mercoledì 21 febbraio 2007

CRT - Centro di Ricerca per il Teatro
in collaborazione con Palermo Teatro Festival
testo e regia di Emma Dante
con Sandro Maria Campagna, Sabino Civilleri
Salvatore D'onofrio, Ugo Giacomazzi, Fabrizio Lombardo
Manuela Lo Sicco, Carmine Maringola, Stefano Miglio
Alessio Piazza, Antonio Puccia, Michele Riondino
assistente alla regia Elisa Di Liberato
scene di Emma Dante e Carmine Maringola
costumi di Emma Dante
light designer Cristian Zucaro
assistente alla drammaturgia Eleonora Lombardo

La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c'è più né sole né luna, c'è la verità.
Leonardo Sciascia

La mafia è una femmina-cagna che mostra i denti prima di aprire le cosce. È a capo di un branco di figli che, scodinzolanti, si mettono in fila per baciarla. Il suo bacio è l' onore. La cagna dà ai figli il permesso di entrare: "Nel nome del Padre, del Figlio, della Madre e dello Spirito Santo". Bastona il figlio più giovane e gli mette un vestito imbrattato di sangue. Il mafioso risorge e riceve dalla Madre la benedizione. I fratelli lo abbracciano e comandano il giuramento: "Entro col sangue ed uscirò col sangue". Il patto si stringe.
Così rielaboro il rito di affiliazione di un uomo che giurando davanti a Dio si consegna alla mafia per sempre. Questo rito antico è il folclore, è la mafia da cartolina di un "agriturismo" nelle campagne di Corleone dove si mangia ricotta e cicoria e si recitano le preghiere con radio-maria.
Ma il folclore è una tavola imbandita che serve a nascondere l'orrore. Dietro la quale, fuori dagli occhi, avviene ciò che non si può dire, che non entra neanche nelle cronache. La mafia è il trionfo della menzogna, è il rovescio che diventa verso, il sotto che viene a galla, il basso che si fa alto, il delitto che si trasforma in regola.
Una cosca, una nassa, un partito, una società, una fratellanza: una Famiglia.
Si può finire in questo recinto per nascita, per paura, o per amore. Chi entra contrae un vincolo eterno. I legami diventano indissolubili, i patti infrangibili. Non ci si può sottrarre, non si torna indietro.
È un'appartenenza selvaggia, di mandria. Chi esce dalla mandria muore.
In Sicilia abita un popolo che parla un gergo segreto, accompagnato da ammiccamenti, da gesti con le mani, la testa, gli occhi, le spalle, la pancia, i piedi. Un popolo capace di fare tutto un discorso senza mai aprire bocca.
Questo popolo ha un atteggiamento mafioso che non ha niente a che vedere con la mafia.
Faccio un esempio: sto percorrendo in auto una stradina a senso unico e di fronte a me arriva un'auto contromano. Mi fermo, ho fretta e suono il clacson.
Aspetto che il conducente indietreggi e, nonostante il mio coraggio, basta un suo sguardo accompagnato da un cenno con la testa per farmi capire che mi conviene fare retromarcia. Non penso che il conducente di quell'auto sia mafioso, anche se lo è il suo atteggiamento. È più facile incontrarlo in un'auto blu nel centro di Roma, il mafioso contemporaneo, nel giusto senso di marcia.
La mafia femmina-cagna schifa se stessa e chiede ai suoi figli di rinnegarla. Li allontana da sé per non infangare il loro nome, è una puttana che si vergogna del suo passato. Col sangue di vittime innocenti li ha nutriti, li ha fatti studiare, li ha nobilitati. Ora i figli sono diventati importanti. Ricoprono alte cariche.
La cagna dona ai figli l'Italia capovolta e divisa, fatta di "isuliddi c'un fannu capo a nuddu". In questa nuova cartina geografica, la Sicilia è al nord.
La cagna non si preoccupa più di punire la verità, quella che costò la vita a Peppino Impastato, perché è riuscita a delegittimarla questa verità, screditando la magistratura e assuefacendo l'opinione pubblica all'illegalità.
In un'isola del nord di un'Italia capovolta c'è una città madrìce, un luogo primario, dove un popolo silenzioso, seduto attorno a una tavola imbandita, si spartisce l'Italia e se la mangia a carne cruda.
Emma Dante
 
 
 
Informazioni
 
Sede: Piazza Libertà 3
Sede Fiscale: Viale Trieste 24
Cap. 62100
Tel. (0733) 2561 - Fax (0733) 256200
     Partita IVA 00093120434
Codice Fiscale 80001650433