Ultimo Aggiornamento: 12/04/08
TLR Stagione di Prosa 2007/08
La stagione teatrale '07/'08 del Teatro Lauro Rossi di Macerata, promossa dall'AMAT e dal Comune di Macerata, propone una interessantissima serie di spettacoli di prosa e lascia spazio anche ad alcuni appuntamenti di teatro di ricerca appartenenti al ciclo "Altri percorsi".
Programma
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2 e 3 novembre 2007 - GIULIETTA E ROMEO di William Shakespeare
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11 e 12 dicembre 2007 - LA PAROLA AI GIURATI di Reginald Rose
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17 e 18 gennaio 2008 - LE VOCI DI DENTRO di Eduardo De Filippo
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2 e 3 febbraio 2008 - HEDDA GABLER di Henrik Ibsen
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13 e 14 febbraio 2008 - LA SIRENA di Giuseppe Tommasi di Lampedusa
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1 e 2 marzo 2008 - LE CIRQUE INVISIBILE di Jean Baptiste Thierrée e Victoria Chaplin
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10 e 11 marzo 2008 - IL COMPLEANNO di Harold Pinter
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26 e 27 marzo 2008 - LA GUERRA DEI ROSES di Warren Adler
Giulietta e Romeo
venerdì 2 e sabato 3 novembre 2007
Ente Nazionale del Balletto - Balletto di Roma
(direzione Artistica Cristina Bozzolini e Walter Zappolini)
Giulietta e Romeo
Balletto in due atti
liberamente ispirato alla tragedia di William Shakespeare
musica di Sergej Prokofiev
con KLEDI KADIU
e con NOEMI ARCANGELI
maître de ballet e assistente alle coreografie: Stefania Di Cosmo
scene di Fabrizio Monteverde e Carlo Cerri
costumi di Eve Kohler
disegno luci di Carlo Cerri
coreografie di Fabrizio Monteverde
Nell'Italia del secondo dopoguerra, assetata di passioni ritempranti dagli orrori del passato (ma è ancora un'Italia che impianta le nuove liturgie sociali borghesi nella terra grassa e ruvida di un'atavica cultura contadina), Giulietta diventa il simbolo di un irresistibile desiderio di sfuggire alle regole di quel mondo e dagli obblighi imposti da una condizione femminile che è ambigua nella sua imposta sudditanza.
Romeo, invece, è un giovane timido, introverso, solitario, totalmente aperto al desiderio e alla curiosità dell'amore, vittima consapevole della volitiva irruenza della sua leggendaria compagna.
Così lontani eppure così vicini agli archetipi shakespeariani, cristallizzati soprattutto dalla tradizione ballettistica della partitura di Prokofiev, i due amanti immaginati dal coreografo-metteur en scene Fabrizio Monteverde per la sua prima produzione, datat 1989, segnavano un momento importante per il teatro di danza italiano.
Per la prima volta con questa produzione si veniva infatti ad affermare una scrittura d'autore di danza originale, autonoma e sicura nel mettere a fuoco dal plot shakespeariano, scavando con ispirazione 'rabbiosa' nei sentimenti e nei caratteri dei personaggi gli aspetti più consoni all'umore e all'immaginario del coreografo, fortemente influenzato da echi cinematografici (il neorealismo di Rossellini e Visconti) e letterari (Brancati) e da citazioni di usanze e costumi nostrani a tal punto da innalzare a figure portanti del dramma due personaggi sinteticamente trattati da Shakespeare, ma fondamentali nella nostra cultura: le madri dei due protagonisti. che, in un'autonomia di riscrittura drammaturgica, assumono ora una dimensione tragica assoluta.
La parola ai giurati
martedì 11 e mercoledì 12 dicembre 2007
Teatro Stabile d'Abruzzo in coproduzione con Società per Attori
La parola ai giurati
(Dodici uomini arrabbiati)
di Reginald Rose, traduzione di Giovanni Lombardo Radice
con ALESSANDRO GASSMAN
e con MANRICO GAMMAROTA, SERGIO MEOGROSSI, GIANCARLO RATTI, FABIO BUSSOTTI, PAOLO FOSSO, NANNI CANDELARI, EMANUELE SALCE, MASSIMO LELLO, EMANUELE MARIA BASSO, GIACOMO ROSSELLI, GIULIO FEDERICO JANNI
scene di Gianluca Amodio
costumi di Helga H. Williams
musiche di Pivio & Aldo De Scalzi
light design di Marco Palmieri
suono di Hubert Westkemper
regia di Alessandro Gassman
New York. 1950. È il 15 agosto e una giuria popolare composta da dodici uomini di diversa estrazione sociale, età e origini sono chiusi in camera di consiglio per decidere del destino di un ragazzo ispano-americano accusato di parricidio.
Devono raggiungere l'unanimità per mandarlo a morte e tutti sembrano convinti della sua colpevolezza. Tutti ad eccezione di uno che con meticolosità e intelligenza costringe gli altri giurati a ricostruire nel dettaglio i passaggi salienti del processo e, grazie a una serie di brillanti deduzioni, ne incrina le certezze, insinuando in loro il principio secondo il quale una condanna deve implicare la certezza del crimine al di là di ogni ragionevole dubbio.
Fra violenti contrasti, dubbi, ripensamenti ed estenuanti discussioni, l'unanimità sarà raggiunta e l'imputato verrà dichiarato non colpevole.
«Dopo due stagioni di successi con la mia prima regia - scrive Gassman - , ho inteso proseguire la mia ricerca affrontando un testo socialmente coinvolgente e profondamente ideologico, nonostante il suo impianto realistico, come è La parola ai giurati di Reginald Rose. L'impianto drammaturgico si basa sullo svolgimento di un dramma giudiziario. Ma ciò che mi ha ispirato fin dalla prima lettura è la possibilità di portare alla luce i pregiudizi e le false certezze che caratterizzano il comportamento dei giurati e che affiorano nel momento in cui devono assolvere il compito più difficile per un uomo: quello di decidere della vita di un altro uomo. La vicenda è incentrata su due capisaldi del sistema giuridico anglosassone: la presunzione di innocenza e la dimostrabilità della sua colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. In un'epoca in cui il mondo è afflitto da ideologie contrastanti che si nutrono di assolutismo e che spesso scadono a pregiudizi, il "ragionevole dubbio" è una preziosa arma di difesa».
Le voci di dentro
giovedì 17 e venerdì 18 gennaio 2008
Elledieffe
Le voci di dentro
Tarantella in tre atti
di Eduardo De Filippo
con LUCA DE FILIPPO
e con GIGI SAVOIA, ANTONELLA MOREA, MARCO MANCHISI, CAROLINA ROSI
scene di Enrico Job
costumi di Enrico Job e Cristiana Lafayette
disegno luci di Stefano Stacchini
regia di Francesco Rosi
Con la messa in scena di Le voci di dentro dopo Napoli Milionaria! desidero proseguire, insieme a Francesco Rosi, il discorso teatrale sulla drammaturgia di Eduardo. Le due commedie, scritte a pochi anni di distanza (Napoli Milionaria! nel 1945 e Le voci di dentro nel 1948), segnano infatti il momento di passaggio da un Eduardo in cui è ancora viva la speranza nei grandi cambiamenti e nel recupero dei valori fondamentali, dopo il terribile dramma della guerra, ad un Eduardo in cui la disillusione ed il pessimismo prevalgono in misura crescente.
E' il momento in cui Eduardo passa dalla riflessione sulla società all'approfondimento dei rapporti all'interno della famiglia sempre più espressione di ipocrisia, tornaconto personale, cinismo e sempre meno di quei grandi ideali quali la fraternità, la solidarietà, la pietà, che avrebbero dovuto segnare il rinnovamento sociale ed individuale. Le voci di dentro, nel filone del fantastico eduardiano con l'ambiguo rapporto sogno-realtà, esprime profondamente gli umori del tempo, di un Paese scosso nel suo sistema di valori e poco fiducioso in una autentica rinascita, come se gli orrori della guerra, ancorché finita, avessero contaminato la coscienza delle persone, come se una sottile corruzione morale fosse penetrata in profondità, pur coperta da un'apparente moralità, riportando a quella connivenza e alle responsabilità individuali e collettive che avevano rese possibili le tragedie ancora così vicine.
Il titolo è emblematico e come tale è entrato nel linguaggio quotidiano: le voci di dentro non corrispondono più alle voci di fuori, e a forza di reticenze, sospetti reciproci e ipocrisie si può arrivare a estremi impensabili, alla negazione della comunicazione e della stima reciproca, rivelando zone insospettabili di una umanità come sperduta. (Luca De Filippo)
Il valore di profezia della commedia di Eduardo, definita dall'autore una "tarantella in tre atti", la sua attualità, sono sconcertanti: Alberto Saporito ha un incubo, forse una visione, che definirà un "sogno": il delitto commesso da una famiglia di tranquilli borghesi, e non esita a denunciarli, tanto ci crede.
Gli accusati, invece di proclamare ad alta voce tutti insieme la loro estraneità al delitto, sospettano che sia stato commesso da uno di loro e si accusano l'un l'altro, arrivando a progettare un delitto vero per coprirne uno solo immaginato. Situazione paradossale, commedia difficile proprio per questo suo muoversi tra realismo e surrealismo. Scrisse Cesare Garboli (Corriere della Sera, 21 gennaio 1977): "Seppe tradire il realismo beffandolo col paradosso, inquietandolo con una pericolosa emulsione di teatro magico e esterrefatto, dove il non senso e gli spettri sono di casa né più né meno del maccherone riscaldato o del ferro da stiro. Sempre partendo dal quotidiano, Eduardo liberava una sostanza popolare nascosta, preziosa e immateriale. E lo spirito di Napoli si lasciava sfuggire un anello bluastro, una spirale di fumo inatteso." (Francesco Rosi)
Hedda Gabler
sabato 2 e domenica 3 febbraio 2008
CTB Teatro Stabile di Brescia e Le Belle Bandiere
Hedda Gabler
di Henrik Ibsen
progetto, elaborazione drammaturgica e interpretazione di ELENA BUCCI e MARCO SGROSSO
(con cinque attori in via di definizione)
disegno luci di Maurizio Viani
costumi di Ursula Patzak
Siamo in un ambiente apparentemente tranquillo, una grande casa borghese con agi e comodità, fiori recisi, il pianoforte, una collezione di pistole, un grande ritratto del padre di Hedda. Anche il paesaggio umano sembra confortante: una coppia appena sposata con un promettente futuro, una zia premurosa, un amico di famiglia, un uomo che torna alla rispettabilità dopo qualche sbandamento, ispirato dalla pura dedizione di una donna.
Ma niente è quello che appare nella fortezza che ha fondato i suoi valori sull'equivoco di una fede basata sulla solidità dei beni materiali e sulla protezione dall'erompere dei sentimenti con maschere e convenzioni.
I soldi non bastano, l'amore non c'è, si scatenano invidie e rivalità, tornano a bruciare passioni che sembravano domate dalla ragionevolezza e dalla buona educazione. La morte è consegnata alla solitudine e al silenzio e la ricerca della verità appare come malattia. Sembra di assistere a una serie di combattimenti attuati secondo un codice di regole molto raffinato, ma non per questo meno crudele in cui anche i dialoghi sembrano svolgersi in una casa trasformata in elegante e menzognero ring. Dentro il quadrato, civilmente, non si fa altro che parlare. Fuori dal quadrato, diventano visibili i desideri e gli impulsi nascosti: l'amico Brack violenta Hedda e deride suo marito Tesman, Hedda vive da uomo, prendendosi il redento Lovborg e sparando al marito incapace, Thea vive il sogno di redimere il mondo, la zia Julle alleva nipoti che non dovranno mai crescere, Tesman infine sta immobile, al centro di un gineceo ammirato e amoroso.
Al centro, in alto, nel luogo dedicato e disertato da dio, il ritratto del Generale Gabler, la cui immagine cambia continuamente, suggerendo le aspirazioni degli stessi personaggi da bambini, la nostalgia di un dio assente, le possibilità perdute di esistenze che hanno rinunciato al coraggio.
Oggi, dopo avere assistito ad ogni scandalo e ad ogni possibile restaurazione, ci sembra ridicolo che un uomo perda la credibilità appena riconquistata per avere passato una notte fuori bevendo, passando il tempo con donne cacciatrici e smarrendo l'unica copia del suo libro, ma ci sembra molto meno ridicolo e inattuale assistere alla continua rinuncia ai sentimenti per paura, alla diserzione dei sogni per inettitudine o per pigrizia, alla verità per la comodità, alla ricerca di quello che veramente si è per fingere di dedicarsi al bene altrui.
Il grande ritratto del Padre diventa uno specchio dove vediamo l'origine dell'inferno nel quale ci troviamo a vivere, quanto di più lontano vorrebbe un genitore per i suoi figli. Siamo in un mondo adulto che agisce da adolescente e che tutto sacrifica alle prove di forza. L'inferno è tale che, quando arriva la coscienza, non c'è altra via d'uscita che la morte, proprio quella che si voleva eludere.
A questo assistiamo, leggendo Ibsen, che, per somma intelligenza e consapevolezza, riesce anche a farci sorridere con la sua ironia: in questa grande casa non c è posto per la vita, visto che non c è posto per la morte, ma c'è spazio per il distacco. E questa casa, è la nostra. È tutto un mondo qui, con le sue regole, che rinuncia al futuro bugiardo per capire dove sia esattamente il presente. (dalle note di regia di Elena Bucci)
La sirena
mercoledì 13 e giovedì 14 febbraio 2008
Zocotoco
La sirena
di Giuseppe Tommasi di Lampedusa
elaborazione drammaturgica di Luca Zingaretti
con LUCA ZINGARETTI
musiche composte ed eseguite dal Maestro Germano Mazzocchetti
Siamo a Torino, nel 1938. In un caffè, grazie ad un 'fortunato incidente', due uomini, ambedue siciliani, s'incontrano. Sono un giovane giornalista, Corbera, unico discendente di un'antica famiglia siciliana, e l'apparente arcigno, ex-senatore ed esperto ellenista La Ciura.
Superficialmente hanno vite diverse, ma sono in realtà animati dalle stesse passioni e soprattutto dalla stessa solitudine che, fatalmente, li avvicina.
La narrazione procede su due livelli. Il primo ci racconta l'incontro tra i due uomini e il passaggio da un'ostilità latente a una cordialità sempre più esplicita. Il secondo livello, invece, apre le porte alla condivisione di un segreto: l'amore tra il senatore La Ciura e Lighea, sirena, figlia di Calliope.
Fa da cornice una caldissima estate siciliana. Il senatore sta preparando l'esame per la cattedra di letteratura greca ed è sfinito dall'afa e dalla fatica. Trova riposo e concentrazione in una casetta isolata, vicino al mare e qui, complice una sintesi di vero e immaginario, magico e misterioso, di cui mai ci sogneremmo di mettere in discussione la verità, incontra e si unisce alla sirena, con la quale vive una passione talmente forte e primitiva da non potere mai più desiderare qualcosa di meno.
Dopo l'esordio a teatro, nei primi anni '80, con registi come Ronconi, Mattolini e Sequi Luca Zingaretti approda al cinema con Gli occhiali d'oro (Giuliano Montaldo, 1984), a cui segue il debutto televisivo con Il giudice istruttore (Florestano Vancini e Gian Luigi Calderone, 1990). Dopo essersi imposto come uno dei più validi giovani interpreti teatrali, nel 1994 inaugura sul grande schermo la sua galleria di "cattivi" con il ruolo di Ottorino ne Il branco (Marco Risi), e con quello dell'impietoso usuraio di Vite strozzate (Ricky Tognazzi). Dal '97 ribalta la sua fama di cattivo e riscuote grande successo vestendo in TV gli abiti del commissario Montalbano, il personaggio creato dalla penna di Andrea Camilleri e poi con i personaggi di Perlasca, di Don Pugliesi, del soldato di Cefalonia. Si è cimentato con successo nel genere del reading con due spettacoli-evento: "16 ottobre 1943 letto al Portico di Ottavia a Roma per i sessanta anni del rastrellamento al Ghetto, e Lettura per Sant'Anna di Stazzema per ricordare l'eccidio nazista.
Le cirque invisibile
sabato 1 e domenica 2 marzo 2008
Justintime
Le Cirque Invisibile
di Jean Baptiste Thierrée e Victoria Chaplin
Se si dovesse riassumere in breve ciò che Le cirque invisible rappresenta, probabilmente la parola esatta per farlo sarebbe "magia". Quella a cui si credeva da bambini, quella che questo mondo sempre più tecnologizzato e frenetico sta cancellando. Quando si spengono le luci della platea e si accendono i riflettori sul palco, tutto quello che lo spettatore deve fare è dimenticare la razionalità e lasciarsi trasportare dalla leggerezza e dalla bravura di questi due artisti straordinari. Jean Baptiste Thierrée affascina con i suoi modi di bambino vecchio, con la sua esperienza che è messa al servizio di una continua parodia dei tradizionali spettacoli di prestigio...i trucchi ci sono, ma non sono essenziali come la complicità che si crea tra "attore" e spettatori.
Victoria Chaplin si presenta agli antipodi del suo compagno di giochi: come lui è istrionico e fracassone, così lei è silenziosa, con uno sguardo stupito e un po' spaventato, ammantata in vestiti che si trasformano in pochi attimi in un fantastico zoo immaginario.
Nei loro numeri, i due artisti sono aiutati da marchingegni astrusi che vengono montati sulla scena, da valigie coloratissime dal contenuto più vario e da una frotta di conigli, colombe, papere che sembrano non essere a disagio sul palcoscenico. Allo spettatore non resta altro che dimenticare, per poche ore, di essere cresciuto.
E' il petit-cirque di Victoria Chaplin e Jean Baptiste Thierrée. Un circo dove tutto si svolge in un fluire naturale e spontaneo, venato di surreale, creato da due artisti che, nell'epoca virtuale e degli effetti speciali, riescono ancora a incantare con la loro arte fatta di stracci e precisione.
Victoria Chaplin e Jean Baptiste Thierrée sono gli acrobati, i fantasisti, gli illusionisti, i funamboli, i prestigiatori, i clown, i musicisti di questo circo immaginario, di questo volo della fantasia. Lei, sempre perfetta, danza sulla corda tesa, si lancia in volteggi mozzafiato con le funi, cavalca ippogrifi di sedie, si trasforma in una magnifica donna-orchestra, eseguendo uno stupendo concerto per bicchieri, tegami e cucchiai.
Insieme fanno comparire animali dal nulla e trasformano un piccolo coniglio in un coniglio gigante. Aiutati dagli oggetti di scena, piccoli animali domestici, ritraggono biciclette in amore. E quando Jean Baptiste Thierrée fa acrobazie con le bolle di sapone e poi le colpisce con un martello e le bolle suonano a festa come campane, dimostra come l'incantesimo teatrale può trasformare la realtà delle cose.
Nato nel 1937, Jean-Baptiste Thierrée incontra Jean-Marie Serreau e poi Roger Planchon che lo spingono verso la carriera d'attore teatrale. Nel 1965 fonda una sua compagnia e nel maggio del 1968 nasce, contemporaneamente al suo impegno politico, il suo desiderio di circo. Nel 1970 ne fonda uno suo con il nome di Cirque Baptiste, che in seguito diventerà Le Cirque Imaginaire. È di quegli anni l'incontro con Victoria Chaplin - figlia del grande Charlot - che diventerà sua moglie e compagna di avventure artistiche. Le Cirque Imaginaire, trasformato in Cirque Bonjour ebbe successo folgorante e immediata infatuazione della stampa e del pubblico. Rifiutando l'idea di trasformare la propria compagnia in un'impresa commerciale Thierrée cercò piuttosto di intraprendere, invano, la strada per ottenere il riconoscimento del circo "di servizio pubblico". Nel 1974 egli decise quindi terminare l'esperienza del Cirque Bonjour e con il nome Le Cirque Invisibile Thierrée e la Chaplin percorsero tutte le capitali europee e internazionali, acquistarono una grande notorietà e dando vita al circo-teatro o nouveau cirque , un vero e proprio genere che negli ultimi anni ha visto nascere numerose compagnie in Canada (Cirque Eloize) e Francia (Cirque Baroque).
Il compleanno
lunedì 10 e martedì 11 marzo 2008
Teatro Stabile di Firenze
Il compleanno
di Harold Pinter
con GIUSEPPE BATTISTON, FAUSTO PARAVIDINO, ARIELLA REGGIO
scene e luci di Laura Benzi
costumi di Sandra Cardini
regia di Fausto Paravidino
Il primo grande incontro che ho fatto dopo Shakespeare è stato con Pinter, io avevo quindici anni, lui era lontano dal Nobel, non sapevo chi era. La prima cosa che ho letto è stata Il compleanno. Ho percepito a orecchio la sua rivoluzione. Per la prima volta ho riconosciuto in una scrittura teatrale un parlato reale. Ho recitato in Un leggero malessere, ne Il bicchiere della staffa e ne Il compleanno. Ho studiato il monologo di Aston da Il guardiano, con quello ho fatto un provino in una scuola di recitazione eccetera. Ho cominciato a scrivere per il teatro copiando da Pinter. Continuo a scrivere per il teatro e continuo a copiare da Pinter.
L'ho conosciuto a Londra nel 2000. Era il giorno del suo compleanno. Aveva accettato di incontrare un gruppo di scrittori che erano in residenza al Royal Court. Non avevo nessuna domanda da fargli. Sono stato molto contento delle sue risposte alle domande degli altri.
Ho accettato di dirigere Il compleanno e di interpretare Goldberg perché me l'ha proposto Roberto Toni. Sono due cose così ovviamente belle che te le devono offrire, non le puoi decidere. È la prima volta che dirigo il testo di un giovane. Il Compleanno anticipa molta della drammaturgia di Pinter da grande. C'è la minaccia dal mondo esterno. C'è un grande villain. C'è il mistero nel/del quotidiano. C'è la politica: la maggioranza silenziosa e la dittatura della democrazia. I testi di Pinter, e questo non fa eccezione, sono campi minati di misteri. Il lavoro da fare è lasciarli tali senza farsene accorgere. Non ho nessun piano geniale per affrontare questo testo. Credo che cercherò di fare come fa Pinter quando scrive. Partire dalla prima scena e piano piano arrivare all'ultima. Poi ricominciare da capo. Mentre ne parlavo con la scenografa in una pizzeria, mia sorella ci ha ammonito: "Io quando vado a teatro voglio vedere una storia". Credo che cercheremo di accontentarla. La storia c'è ed è teatralmente molto forte e penso che vada preservata dal pericolo dell'interpretazione. Ci tengo ad avvisare fin d'ora che quello che piace a me - e che quindi cerco di fare - è un teatro d'attori. Non so cosa vuole dire perché per me è l'unico possibile ma ne sento parlare come se invece ci fossero alternative. Ecco, purtroppo, quelle alternative non mi interessano perciò è inutile che le si venga a cercare nello spettacolo che faremo.
Le scelte registiche saranno tante, vanno fatte, va da sé, le idee registiche sono pericolose ma a volte possono servire. Qui di idee per il momento ce n'è una: l'attore che interpreta il perseguitato Stanley è un pochino più grande del suo persecutore Goldberg. C'è un ribaltamento generazionale rispetto al testo scritto da un giovane di cinquant'anni fa. Ma non è responsabilità di questa pagina spiegare il perché. (Fausto Paravidino)
La guerra dei Roses
mercoledì 26 e giovedì 27 marzo 2008
Teatro per l'Europa
La guerra dei Roses
di Warren Adler
con GIANCARLO ZANETTI e LAURA LATTUADA
e con LUIS MOLTENI, SIMONA CELI, VALERIO MORETTI
scene di Nicola Rubertelli
costumi di Teresa Acone
musiche originali di Stefano Fresi
regia di Ugo Chiti
Commedia nera, acida e cattiva al punto giusto La guerra dei Roses - portata sul grande schermo da Michael Douglas e Katleen Turner - smonta con perfidia tutti i luoghi comuni sul matrimonio. Un meccanismo drammaturgico perfetto trascina la lunga e romantica storia di Barbara e Jonathan in un crescendo che culmina nella folle frantumazione della loro perfetta vita di coppia. Barbara è stanca della vita di "angelo del focolare" impegnata solo a organizzare ricevimenti e ad aspettare il ritorno a casa di Jonathan, avvocato di successo troppo preso dal lavoro per accorgersi delle aspirazioni della moglie. L'infarto che ferma Jonathan fa capire a Barbara che in fondo la vita da divorziata non sarebbe poi male: nonostante l'opposizione del marito avvia le pratiche di divorzio. Fra i coniugi, costretti a vivere separati nella stessa casa, inizia così una guerra accanita. L'amore diventa odio, il senso del possesso sfida, l'orgoglio strategia di attacco. Spariti del tutto il pudore di sentimenti e il rimorso, sul campo di questa guerra familiare, non rimarranno alla fine che perdenti.
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