Broken Wings can fly
Chet
quante volte ti ho voluto da me, quante ho parlato di te, scritto di te, quante volte ti ho cercato e, saputo dov'eri, rincorso, inseguito, per vederti e sentirti ancora la sera di una nuova "prima", per avere da te la prima parola, il primo sorriso, il primo abbraccio, per essere il primo amico che ti si facesse incontro all'aeroporto, il primo che ascoltasse l'ultima delle tue, sovente tragiche, avventure esistenziali, esposte con il solito distacco angelico, la solita mite rassegnazione, con quel timbro di voce diafano, timido, "bianco", che fa "suonare" ogni tua frase come un "solo" di tromba, poetica, martoriata, tristissima eppur felice, precaria eppur eterna, infantile e "naïve" quanto matura e rigorosamente costruita. Devo di nuovo scrivere di te, dunque, di nuovo presentarti nel tentativo di farti conoscere a chi non si è ancora avvicinato a te, a chi ancora non ha avuto la vita arricchita dai tuoi racconti musicali. E allora, come sempre, cercherò di improvvisare, di sentirmi libero, fresco, senza cliché, come fossi (sento proprio di esserlo) un jazzman che tenti l'ascensione verso l'alto, con un sentito, lungo, liberatorio assolo che, pur costando un po' di vita, sempre più allontana dalla morte.
Ecco, il mio assolo è cominciato, Chet, è partito da questa immagine, il tema (sennò che assolo jazz sarebbe): te, "on stage", Chet, seduto su una povera sedia che tra poco la tua tromba trasformerà in un trono regale, le magre gambe accavallate, i piedi sempre così scalzi, quei sandali così spirituali, francescani, tu come Francesco, il giullare di Dio, entrambi a cantare laudi, a mostrare il Bello, ad insegnare l'Amore; le bianche mani debolmente posate sulle cosce, che stringono una tromba, lo stanco tronco, leggermente, nobilmente inclinato, su cui reclina una testa vecchia ma appena nata, gli occhi miti, chiusi, ma aperti sul tuo "interiore", pronto a diventare il nostro, persi tra le galassie, tra i buchi neri che sembra inghiottano, ma anche creino, la vita; le rughe, tante, scoperte, infantili (sei sempre appena nato, Chet), ma non stai vivendo troppo, Chet, come qualcuno potrebbe superficialmente ritenere, sei, invece, sul punto di nascere, rinascere, sempre pronto a testimoniare la fatica, il dolore di nascere, di vivere, concentrato, dalla prima all'ultima delle battute, sui ricordi, tutti i ricordi belli, brutti, gloriosi, ingombranti, dolci, amari, teneri, duri, sulla vita, sulle donne della tua vita, quante, quanto amate, sui tuoi figli, sulle loro infanzie che non hai potuto guidare, sui tuoi inizi, sulla chiamata di Bird che ti aprì la strada appena ventenne (un mese con Lui, sulla West Coast, tu, giovane angelo (ancora lo sei) sempre a guardarlo attonito, solo dopo solo, a ripeterti, incredulo: "Bird mi ha voluto, mi ha scelto!") e poi il "pianoless quartet" con Gerry, le notti allo Haig con Lee, l'incontro con Art (Pepper), la doppia vittoria nel referendum del Down Beat (critici e lettori) davanti a Miles e a Dizzy, la prima tournée europea da leader, la fine immatura, per overdose, di un altro giovane angelo (del piano), Dick Twardzik, a Parigi, i tuoi giorni della droga, quella scimmia che non ti lascerà più, l'esperienza del carcere, anche in Italia, il ritorno a New York, la bocca devastata su cui la tromba non poggerà più per molti anni, il grande rientro del '74, con i denti ritrovati (grazie Dizzy!) e il nuovo "sound" più dolce, più poetico, più sussurrato, sublime, ancora più sublime; e da allora, concerto dopo concerto, sera dopo sera, club dopo club, poetico "messenger" del jazz, cittadino del mondo, senza fissa dimora, ora in California da Diane, ora in Belgio da Jacques e in Francia da Michel o in Italia da Nicola; con tutto questo e altro ancora, ogni volta la tua anima si presenta a noi e da tutto questo essa estrae la quintessenza della Bellezza in Musica.
Ecco, Chet, il mio assolo è finito, l'ho suonato con poca tecnica ma dal più profondo del cuore, con sincero, appassionato, "feeling"; è il tuo turno, ora, riempimi l'anima di sublimi "chorus" che, una volta entrati, si affiancheranno agli altri e, come gli altri, non mi lasceranno più. (1988) Paolo Piangiarelli